In assenza di precise disposizioni comunali, in caso di nuova costruzione nei centri storici, non è prevista la distanza dei 10 metri tra fabbricati
Con la nuova sentenza n. 5830-2021 il Consiglio di Stato si esprime sulle distanze tra fabbricati nel caso di demolizione e ricostruzione con aumento di volume in un centro storico.
Il caso
Alcuni privati chiedevano al Tar l’annullamento di un permesso di costruire rilasciato ad una società che, dopo aver acquistato un immobile, intendeva demolirlo e ricostruirlo ai sensi del Piano Casa regionale (era quindi previsto anche un aumento di volumetria).
Nel caso specifico, l’edificio da demolire sorgeva in un centro storico e, secondo i ricorrenti, la ricostruzione non avrebbe rispettato i 10 m di distanza tra fabbricati, così come previsto dall’art. 9 (Limiti di distanza tra i fabbricati) del dm n. 1444/1968.
Il ricorso al Tar veniva accolto, in quanto per i giudici:
l’intervento di demolizione e ricostruzione non fedele di un fabbricato preesistente, ubicato in zona A, deve reputarsi equiparato […] alla “nuova costruzione” così da essere tenuto al rispetto dei 10 metri dalle pareti finestrate […]
Il Comune appellandosi al Cds, invece, sosteneva che il Tar:
aveva interpretato erroneamente l’art. 9 del dm 1444/68 poiché non riguardava le zone A (centro storico);
non aveva considerato che sia la normativa regionale sia la disciplina urbanistica locale prevedevano la possibilità di derogare alla distanza minima di 10 metri con riguardo ai centri storici, anche con riferimento alle nuove costruzioni.
Art. 9 dm 1444/1968 – Limiti di distanza tra i fabbricati
Ricordiamo al riguardo che le distanze minime, previste dal dm 1444/1968, tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.
Nei nuovi edifici ricadenti in altre zone invece è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a m 12.
La sentenza del Consiglio di Stato
I giudici del CdS sono d’accordo con il Comune e spiegano che:
la previsione del dm n. 1444/1968, secondo cui la distanza tra pareti finestrate di edifici frontisti non deve essere inferiore a 10 metri, vale per i “Nuovi fabbricati” in “altre zone” (cioè diverse dalla zona A – centro storico);
nel centro storico, nel quale si trova il fabbricato oggetto della domanda, invece, vige il generale divieto di costruzioni “ex novo” e la norma si limita a prescrivere che la distanza non sia inferiore a quella intercorrente tra volumi edificati preesistenti.
Infatti, a parere dei togati:
il d.m., dopo aver disciplinato le “Zone A”, introduce la “distanza minima assoluta di m. 10” con esclusivo riferimento alle “altre zone”, di guisa che non è suscettibile di estensione analogica una norma che introduce una limitazione o un divieto quale quella in commento.
In parole povere, il dm dopo aver disciplinato le zone A (Centro storico), introduce la distanza minima dei 10 m che riguarda esclusivamente le altre zone, limitazione che non va estesa ai centri storici dove deve essere rispettata la distanza preesistente.
In conclusione, i giudici di Palazzo Spada aggiungono che, nel caso in esame, la legge regionale sul Piano Casa non contempla l’esclusione dell’edificabilità di nuove costruzioni nelle zone A né risulta in tale zona la previsione della distanza minima di 10 m.
Il ricorso del Comune è, quindi, accolto.
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