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Niente sanatoria per gli interventi effettuati dopo l’istanza di condono!

Gli interventi eseguiti tra l’istanza di condono e il rilascio del condono stesso non sono compresi nella sanatoria. Lo chiarisce il CdS


Un noto proverbio ammonisce “di non fare di tutta l’erba un fascio” con il messaggio più positivo di tenere ben distinti ciò che è buono da ciò che è cattivo. Un po’ diverso e meno sottile è il modo di dire: “gettare tutto nello stesso calderone” che vuole descrivere il tentativo di mettere assieme cose diverse o di far rientrare in una richiesta accordata un’altra cosa estranea che, normalmente, non potrebbe rientrare. Ciò rappresenta in estrema sintesi la sostanza o la morale, se vogliamo, della recente sentenza n. 9084/2023 pronunciata dal Consiglio di Stato a proposito di una istanza di condono edilizio e cosa lecitamente possa rientrare in essa.

Ti ricordo che il condono edilizio (legge ad hoc) e la sanatoria ordinaria (art. 36, dpr 380/01) sono due modalità diverse per regolarizzare un manufatto edilizio realizzato in mancanza dell’apposito titolo abilitativo, con la conseguente creazione di un abuso che non va mai in prescrizione. Recentemente si è tornato a parlare di un ipotetico nuovo condono edilizio 2023, in tal caso un’istanza ben formulata e corredata di tutti i documenti necessari, frutto del possibile intervento e collaborazione di più professionisti specializzati in settori diversi, potrebbe fare la differenza per una pratica senza intoppi, per cui tornerebbe utile uno strumento di lavoro per la gestione delle pratiche edilizie online da usare gratuitamente fin da subito.

Posso eseguire altri lavori sul mio fabbricato abusivo mentre aspetto che la mia istanza di condono venga accolta?

Il proprietario di un immobile presentava istanza di condono edilizio (legge n. 47/1985, c.d. primo condono) per alcune opere effettuate abusivamente. Successivamente, l’istante decideva d’integrare l’istanza al Comune, chiedendo di completare il fabbricato (ma in realtà dopo averlo già fatto) con la sostituzione della lamiera di copertura (in ondulato plastico) con solaio e relativa posa in opera di materiale impermeabile, massetto e pavimentazione del terrazzo di copertura. Ma poco dopo egli decedeva, per cui entravano in possesso dell’immobile gli eredi.

Ora, non essendosi mai pronunciata l’amministrazione su tale domanda d’integrazione (almeno così sostenevano gli interessati a loro successiva difesa), all’indomani del pervenuto condono dell’istanza iniziale, gli eredi avevano ritenuto quell’integrazione compresa nello stesso condono. Ma il Comune poco dopo, faceva recapitare loro un’ingiunzione di pagamento di una sanzione pecuniaria per la realizzazione dell’intervento di sostituzione della copertura, ritenuto abusivo.

Il ricorso al Tar

La questione sfociava in un ricorso degli eredi al Tar, che lo respingeva: l’intervento sanzionato con il provvedimento impugnato, essendo stato indicato dal dante causa solo in una integrazione della domanda di condono, presentata successivamente alla scadenza dei termini previsti dalla legge n. 47/1985, non poteva considerarsi ricompreso nell’istanza originaria e, dunque, nel condono rilasciato.

Si arrivava, così, in appello presso il CdS.

La decisione del CdS: non è consentito sanare interventi effettuati sull’immobile abusivo dopo la presentazione dell’istanza di condono

I giudici di Palazzo Spada premettono che si tratta di opere eseguite in assenza dell’autorizzazione prevista dalla normativa vigente o in difformità da essa.

La riportata circostanza di fatto:

  • conferma la correttezza della sentenza del Tar laddove afferma che l’intervento sanzionato con il provvedimento impugnato, essendo stato indicato dal dante causa solo in una integrazione della domanda di condono presentata successivamente alla scadenza dei termini previsti dalla l. n. 47/1985, non può considerarsi in nessun modo ricompreso nell’istanza originaria e, dunque, nella sanatoria rilasciata (tesi questa sostenuta dai ricorrenti in primo grado);

  • smentisce la tesi, prospettata in appello, secondo cui l’istanza in questione sarebbe riconducibile alla previsione di cui all’art. 35, comma 14, L. n. 47/1985, la quale dispone che “Decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all’art. 31 non comprese tra quelle indicate dall’art. 33. A tal fine l’interessato notifica al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione“. È evidente che la riportata disposizione si riferisce ad interventi (di completamento) da eseguirsi e non già ad opere già eseguite in assenza di titolo (riferito al cambio del tetto già effettuato prima di presentare domanda d’integrazione all’originaria istanza di condono).

Chiarito questo, il CdS osserva che non vi è dubbio che la concessione in sanatoria rilasciata riguardasse soltanto le opere di cui all’istanza originaria:

Ciò in quanto innanzitutto per legge non è consentito sanare interventi effettuati sull’immobile abusivo dopo la presentazione dell’istanza: l’imposizione di un termine, anteriore alla data di scadenza per la presentazione della domanda, entro cui gli immobili devono essere ultimati ha proprio lo scopo di evitare che si chieda di “sanare” un abuso non ancora commesso o ultimato, tanto che la prova dell’integrazione del requisito dell’anteriorità dell’ultimazione dell’opera rispetto al termine di legge (sia in sede procedimentale, sia in sede giudiziale) fa carico al soggetto privato che abbia presentato la domanda di condono, atteso il carattere eccezionale di tale istituto […]

Inoltre, dalla documentazione in atti non emerge alcuna volontà dell’amministrazione di ricomprendere nella sanatoria anche l’abuso successivo ma, al contrario, come rilevato dal TAR, risulta che ripetutamente l’amministrazione ha qualificato tale intervento come “abuso” del resto analogamente alla qualificazione datane dalla stessa parte richiedente.

In ultimo e d’altra parte, non può avere rilievo il tempo trascorso tra la realizzazione dell’opera abusiva e la conclusione del procedimento sanzionatorio, giacché la mera inerzia dell’Amministrazione nell’esercizio del potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo.

Il ricorso non è, quindi, accolto.

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